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L'AMICO DI TUTTI

 

Troppo rischioso sarebbe stato per loro ritrovarsi nella solita taverna. Oltre al pericolo di venire origliati da qualche ubriacone ficcanaso, avevano soprattutto il problema della mancanza di luce da affrontare, cosa non da poco dato che dovevano definire quella stessa sera i dettagli per il loro piano d'attacco.

Decisero che si sarebbero visti nella capanna degli attrezzi dei fratelli Pasciugo, e, alla sera prestabilita, alle dieci in punto, il primo che aprì la porta fu Antonio, il più grande dei Pasciugo seguito dal timido fratello minore Salvatore.

– Acciappa la sedia nell'angolo laggiù e portala cà – disse Antonio deciso mentre si sedeva su un'altra delle tre che ora riempivano il tavolo, tirandosi su il bavero della giacca e provando ad assumere un contegno nobile e serio, da vero comandante.

– Settati cà tu, alla mia destra – disse a Salvatore che, timido come sempre, si andava a sedere con la testa bassa fissa sul tavolo. – e che c'hai da tenere sempre quella faccia triste che pari nu mortu?! Sì nu bello giovane e pari nu vecchio che sta a schiattà! Ma nun ce pensi? – disse determinato Salvatore scuotendo per una spalla il fratello per guardarlo negli occhi – tra qualche giorno saremo ricchi e lontano da sta merda de paese! Basta pulì i culi alle vacche e ire al bordello na volta al mese! Se ce'ndrà bene, avremo tutte le donne che vurimmo! Che, nun sei cuntento? Te voi tirà indietro? – ci fu una pesante pausa. – Ahò! – fece deciso scuotendo ancora Salvatore. – Stò a parlà cu tia!

– Sì, l'ho capito. – rispose Salvatore – No, non ho cambiato idea, è solo che ciò 'npò paura.

– Ma de che devi avè paura? Il piano te l'ho già mostrato no! Sta perfetto, lo dicisti pure te. E allora?

– E' che po' sempre andà storto qualcosa... Sai....a sfiga ce vede!

– Sìììì, la sfiga vede bene ma sarà pure diventata cieca con tutta quella che ce simo subiti per tutta sta vita; e poi a me pulire il culo delle vacche o sta in galera nun me cambia nulla, a me! Che me piino e mettono en galera: almeno finiscio de ammazzamme per campà! Al gabbio te danno da mangià tutti li giorni, lo sai? – disse continuando a stare in piedi – Ma guardate come te sei smagrito! Pari nu cecio secco; e che femmina te può pià cunciato a cussi? Giusto na morta de fame come te te può venì a piglià. Dai retta a tuo fratello che c'ha chiù esperienza de te: co sto colpo diventamo ricchi e mannamo a fa 'nculo pure la sfiga!

Antonio stava ancora fissando la nuca del fratello che rimaneva bassa, nonostante annuisse. Iniziarono ad udire dei passi sulla terra fangosa, e subito dopo dalla porta cigolante entrò Gaspare. 

– Saluti compari. Cumme va?

– Se stà bene e te?

– Nun c'è male.

– Sittati cà – fece Antonio indicando la sedia alla sua sinistra. 

Gaspare si tolse la giacca logora di fustagno, l'appese alla sedia e si sedette. Come il suo fondoschiena toccò la seduta, questa esplose in un unico colpo gettando Gaspare a terra.

– Marò! Mamma che botto! Maledetti li morti vostri, me se rumpiò il culo!

– Che?... nun te farai male proprio adesso? Co sto culone che te ritrovi non te se pò rumpé niente!

– Mannaggia! Sarà, ma me sento tutte le gambe tremamme.

– Viè qua! Settate sulla mia; piano! che io me prendo lo sgabello.

Si scambiarono di posto mentre le lamentele di Gaspare continuavano.

Salvatore, una volta seduto, attese il silenzio allungando l'orecchio alla ricerca di rumori sospetti. 

– Bene, domani alle sette di sera ci ritroveremo cà, magneremo qualcosa  e poi partiremo coi sacchi in spalla verso San Quintino. Da cà ce vogliono quattro ore tra i monti, di buon passo. Alle undici dovremmo essere là, ce riposeremo n'oretta e poi scenderemo in paese per essere prima delle tre sul retro dell'ufficio postale. La mignotta amica mia m'ha detto che la guardia è uno preciso, hanno appuntamento alle tre. A porta di dietro sta vicino all'angolo dell'edificio. Appena loro due staranno per entrà, te, Gaspare, salterai giù da lu tettu in capa alla guardia e io zomperò fuori dall'angolo. Vedi di cadere bello grosso come hai fatto ora!

– 'Nculate – rispose Gaspare.

– Te Salvatò farai lu palo e basta, con la scaccia cani che te darò in tasca. Te ne starai all'angolo, nell'ombra a guardà che non se muova na foglia.

Gaspare continuava a rumirare qualche cosa fissando Salvatore, i cui occhi ignoranti iniziavano a fantasticare una nuova vita nello splendore della ricchezza.

– Me raccomando: tanto riposo stasera che domani duvrimmo esse carichi e pronti a non farce scappà nu miliardo de picci!

– Madò! – esclamò Gaspare – Nu miliardo! Ah! Salvatò, ce pensi? Nu miliardo!

– Diviso tre – precisò Antonio.

– Bhé! So sempre  'n sacco de picci.

– Vuol dire diventà ricchi! – disse deciso Salvatore con gli occhi pieni di avarizia e animati da qualcosa di diabolico – Come ce simo detti io me ne terrò 400, gli altri 600 ve li spartirete voi due a metà.

– Semo d'accordo. – fece Gaspare annuendo con la grossa testa squadrata.

– E picchè te te ne terrai 400? – domandò Salvatore.

– Che domande da fesso me fai? Te ne stai sempre 'n ballo a leggere li libroni e me fai na domanda cussì stupida? Me piierò la fetta chiù grande picchè a soffiata l'ho trovata io, lu piano lo inventai io e li sordi per pagà la mignotta ce li misi io.

– Ahò Salvatò! Te l'ha detto tuo fratello come ha fatto a fasse dà la soffiata?

– No. – fece mesto Salvatore.

– Dai Antò, raccontala ancora na volta che ce facimmo du risate

– No. – fece secco Antonio che non voleva perdere la concentrazione.

– E daie che se lo dici te fai volè chiù bene da tuo fratello. 

Antonio guardava basso sul tavolo quando sorrise ed iniziò a parlare: 

– Un amico mio...

– E sì, n'amico tuo! – proruppe Gaspare scoppiando a ridere potente e picchiando la mano sulla coscia.

– Ah! O me fai finì o nun lo racconto!

– No, no continua te prego.

– Vabbhé, m'amico mio che è anche lu direttore dell'ufficio postale ninché nu grande frocio pervertito che ogni tanto me inchiappetto per arrotondà, na sera, imbriaco, me viene a dì che domani notte arriveranno all'ufficio postale nu miliardo in banconote nun segnate che il giorno dopo partiranno per Ragusa, e sti fessi ci hanno messo a custodia, in più alla solita guardia che si fa la mignotta amica mia, altre due che scortano li sordi su un'auto borghese. Ed ecco che domani sera ce penseremo noi a fargli passà na bella nottata. Ecco picchè me pio nu centone in più de voi.

– Aho Salvatò, nun è da schiatta? – disse ridendo felice Gaspare.

Salvatore annuiva senza sorridere, ancora più rattristato dopo questa storia. 

– Namo a dormì che domani duvrimmo esse belli freschi!

Si alzarono uscendo dalla baracca e ridiscesero alle loro case nel silenzio rotto dai grilli.

 

La sera successiva arrivò rapida. Attesero il buio mangiando pane di segale e cacio, dandosi coraggio con un fiasco di vino. Nessuno parlò. Andarono poi nel fienile a dissotterrare le armi: due fucili da caccia a canne mozze, una scacciacani e un pugno a testa di cartucce; e si avviarono lungo il sentiero che iniziava dietro il casolare. 

Ognuno camminava portando con sé pensieri e fantasie sulla ricchezza che avrebbero ottenuto quella notte.

Rispettarono perfettamente la tabella di marcia, scesero silenziosi e guardinghi a San Quintino. Antonio mise la pistola nelle mani del fratello “Vedrai che nun te servirà” gli disse. Poi aiutò Gaspare a salire sul tetto.

Antonio e Gaspare si muovevano assieme lungo la parete, uno in alto, l'altro in basso. Antonio fece cenno a fratello di andare a posizionarsi più in là, nell'ombra più fonda. 

Salvatore, accovacciato a terra sull'angolo che dava accesso alla via principale, attendeva come gli altri. Il cuore batteva violento e le mani sudavano. Videro tutti contemporaneamente spuntare dal buio un donna coperta da uno sciale scuro che camminava leggera a piedi nudi. Bussò alla porta con quattro colpi. Si sentirono dei passi avvicinarsi all'uscio, ci furono rumori di serrature che scattavano e la porta si aprì. La guardia non fece in tempo ad allungare la mano sulla sua preda che Gustavo gli cadde addosso. Antonio scavalcò subito i due che erano finiti a terra, entrò rapido nell'ufficio andando sicuro dove sapeva avrebbe trovato le guardie: stavano tutte e due dormendo. Una sola sollevò il volto assonnato dalla scrivania quando Antonio la riporto al sonno col calcio del fucile. Subito dopo toccò all'altra. Li imbavagliarono e legarono tutti assieme. La prostituta aveva anche lei un grosso occhio nero "cussì iè sembrerà chiù vera!" disse Gustavo dopo averla colpita. Aprirono le due casse con le chiavi prese alle guardie, riempirono gli zaini ed uscirono. La notte era piena di un silenzio inquietante. 

– Namo! – disse Antonio mettendo sulle spalle del fratello il terzo zaino.

Corsero via più silenziosi possibile, nel corpo l'adrenalina pompava una forza immensa, talmente intensa che avrebbero potuto pensare di essere invincibili. Antonio teneva per mano il fratello le cui gambe non avevano ancora smesso di tremare. 

Quando il sentiero finì si mise a condurre Antonio che conosceva benissimo le colline e tutte le scorciatoie dei monti. Dopo un'ora rallentarono il passo arrivando comunque alla loro meta in perfetto orario.

Si mossero abbandonando il sentiero scendendo lungo una scarpata aiutandosi con gli arbusti; si fermarono sopra l'imbocco di una galleria. 

– Mo non ce resta che aspettà lu primo treno. – disse Antonio radioso. – De notte passano solo merci che rallentano prima de la curva che emo davanti. Me raccomando: nun ce pensate troppo a saltà che se no lu treno passa! Ce semo capiti Salvatò?

– Ce simmo riusciti! – esclamò Gaspare.

– Non ancora. Stamo concentrati che vedo li fari laggiù. Me butto io per primo poi Gaspare e Salvatò, uno via l'altro, veloci. Se nun saltamo gli sbirri ce beccheranno de sicuro. – continuò Antonio alzando il tono della voce per il sopraggiungere del treno. – Pronti...Via!

E saltò, cadendo pesante sul vagone. Sentì poi un tonfo, i cavi del treno erano tutto uno scintillio che permetteva di vedere a intermittenza dentro la galleria. 

– Saltaaaaa! – urlò disperato con tutto sé Antonio.

Ci fu un altro tonfo. 

La luna era quasi piena, e, nonostante alcune nuvole c'era molta luce. 

Quando il treno uscì dalla galleria Antonio vide solo Gaspare. Subito corse verso la fine del treno seguito dal compagno, il volto devastato dalla paura guardava a destra e a sinistra. Alla fine dell'ultimo vagone si sporse, ormai sconsolato, quando vide, appeso nel vuoto, Salvatore; lo zaino incastrato al treno, il volto che guardava in alto madido di sangue. 

– Per la Madonna! – esclamò Gaspare.

Svelto Antonio estrasse dalla tasca un coltello, lo aprì, afferrò la maniglia dello zaino ignorando la mano tesa del fratello e, con un colpo deciso, tagliò lo spallaccio che reggeva il peso di Salvatore che cadde violento rotolando fuori dai binari. 

– Ma che... cheee... – cercò di dire qualcosa Gaspare scioccato per l'atroce accaduto.

– Sai com'è... – disse Antonio. – Chiù poco simo e chiù megghio stamo!

Il viso di Gaspare di aprì in una smorfia terribile, gli occhi nel vuoto spalancati come la ferita che Antonio gli aveva inferto allo stomaco.

– Figghio de bottà! – sussurrò Gaspare mentre si accasciava sulle ginocchia con le mani portare al ventre sanguinante.

Antonio fece urlare Gaspare sfilandogli lo zaino e pugnalandolo una seconda volta alla schiena, poi, vincendo a calci gli ultimi disperati sforzi che Gaspare gli opponeva, lo fece cadere di sotto godendosi lo spettacolo del cadavere che scompariva tra i cespugli. 

Si sedette Antonio portando a sé tutti e tre gli zaini, abbracciandoli, pieno di un sorriso soddisfatto. Il treno filava via rapido nella notte anonima e la luna fu l'unica spettatrice del suo trionfo.

 

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