top of page

UNA VITA IN FOTO

Eccola lì l’immagine di mia madre proprio come me la ricordavo: spaurita, il volto scavato dall’infelicità di una vita di umiliazioni e violenze subite per mano di quella bestia di mio padre.

La mano ancora calda di rabbia, arrossata dall’unico tentativo di difesa riuscitole in diciassette anni di matrimonio. Quello schifoso di mio padre probabilmente starà ancora boccheggiando sangue misto a schiuma sul suo amato tappeto d’orso, come lo abbiamo lasciato, prima di sbattere la porta, e questa volta sarebbe stato per sempre, chiudendoci alle spalle una vita che abbiamo vissuto senza mai desiderarla, nemmeno per un attimo.

Ricordo perfettamente l’unico suono che invadeva il mio udito: lo sbattere dei miei denti che cercavano di sfogare il tremito dei miei nervi. Ero pietrificata. È davanti ai miei occhi, fisicamente presente, lo sguardo di mia madre nel quale risiedeva l’avanzo della forza che mi fece letteralmente volare dentro l’auto. Quella sera ho avuto più che mai bisogno di lei per farcela. Ero nel pallone, la mia mente col suo raziocinio mi aveva abbandonato. Quel ferro da stiro lanciato contro il cranio di mio padre aveva tranciato i collegamenti tra la mia mente e la mia spina dorsale. Non riuscivo a deambulare. È ancora famigliare il dolore delle mie mascelle irremovibilmente serrate, prima che venissi lanciata nell’abitacolo inaugurando un fremito totale di tutto il corpo.

Esattamente così era la luce dei lampioni stradali, con quelle cadute di luminose che dipingevano pozze scure delle quali ho sempre avuto il terrore, fin da bambina, anche con la neve. Ma non ne ho avuta paura quella sera, anzi, l’ombra del parabrezza che mi celava dentro l’abitacolo mi infondeva un velo di sicurezza. Per un attimo ho creduto di essere invisibile, unico spettatore di quella scena, della vittoria dell’orgoglio di mia madre. Non mi faceva nemmeno più così schifo l’orrendo impermeabile blu che detestavo, che era più pessimo ancora dei suoi squallidi abbinamenti fatti di assenza di gusto e vestiti a buon mercato.

Fossi stata lei non sarei scesa a raccogliere la sua inseparabile borsa rossa, ma quella volta forse aveva dentro veramente qualcosa di importante. Ma lei quella notte era insconfiggibile, perché assente da questo mondo. Altre leggi le entrarono dentro sconvolgendo tutti i riferimenti di una vita. Ora non aveva più paura, il battesimo dell’azione l’aveva liberata; ci aveva liberate.

Un’altra immagine che nella mia mente giace tatuata è la mia bocca, con un pezzo del mio naso lacrimante, racchiusa nello spietato dettaglio dello specchietto retrovisore, che probabilmente avevo spostato entrando, puntandolo, per uno scherzo del destino, contro le mie labbra, nelle cui pieghe leggevo lo stesso terrore che mia madre aveva sconfitto, e che a me ancora non mi abbandonava segregando e custodendo il mio essere la me stessa che conoscevo.

Mai avrei pensato di vedere gli occhi suoi animati dalla pietà, quando ancora stava lì fissa, incurante del motore acceso, incurante che mio padre avrebbe potuto riprendersi, e magari uscire fuori col suo maledetto fucile e cancellarci per sempre da questo mondo. Lei stava lì ferma ed assente, immobile, come la mano, fulcro del suo equilibrio geografico mentre l’animo era imbizzarrito dallo sconvolgimento atteso da una vita. Pareva un atleta che si gode il trionfo dopo una vita di sacrifici e soprusi del destino; e lo era. Perseverava in quella posizione mentre il fumo puzzolente della nostra scassata Ford iniziava ad avvolgerla; soprattutto era incredibilmente incurante dei vicini, che io non vedevo ma sentivo affacciarsi alle odiose finestre dello loro case, il cui interno era sempre pieno di malignerie e pettegolezzi ai quali mia madre dava tutta quell’importanza. Non quella sera però. Quella sera c’è stato spazio solo per il gesto del riscatto. Ed io, che mai avrei potuto pensarla capace di quello che quella sera fece, ancora oggi la venero, perché con la sua vittoria mi ha ridato la vita, la libertà di non crescere come una bestia. Mia madre è stata il mio profeta.

bottom of page